A livello creativo ho bei ricordi. Ringrazierò sempre:
Voglio salutare questo anno con speranza, la stessa che mi animerà sempre.
Buon anno gente!
Chi mi segue sa quanto amo l’anime Tatsunoko de Il Fantastico Mondo di Paul. Jungle ha recentemente pubblicato sia una figure di Pakkun che la Miracle Car. Nel mio consueto video per il canale YouTube del blog parlo di entrambi i prodotti. A bocce ferme voglio fare alcune considerazioni aggiuntive su questi oggetti, in particolar modo sulla Miracle Car.
Apprezzo molto che la Jungle e Matteo Togni si stiano tanto concentrando su una serie così particolare nella storia dell’animazione giapponese. Da questo punto di vista gli va dato sicuramente un plauso. Purtroppo la mia copia della macchina ha qualche sprua di troppo, ma la cosa più grave che ho riscontrato è un difetto di assemblamento della capotte:
Ovvio, sono cose che possono succedere, poi nel viaggio ecc chissà cosa può essere successo. Però un’altra problematica è a livello ingenieristico: una volta inseriti, a fatica, i personaggi nella macchina sono davvero difficili da togliere, mi riferisco a Paul e Nina, gli altri due invece non hanno nessun tipo di ancoraggio ai sedili posteriori. Ciò nel mio caso ha reso ancora più difficile risolvere il problema della capotte. Tra l’altro ho notato che il rosso dei sedili tende a rimanere sulle figure a causa dello sfregamento a cui i materiali sono sottoposti, ciò lo si nota soprattutto su Nina.
Penso che ci voglia maggior controllo qualità e attenzione nella progettazione di questi prodotti, che ricordiamoci vengono venduti a caro prezzo. Ho contattato a riguardo Togni, ed è stato molto carino con i suoi consigli, una copia un po’ sfortunata purtroppo può capitare, ma che ci siano tante difficoltà nell’inserimento e disinserimento dei personaggi no, andava pensato meglio tutto il progetto, altrimenti lo si vendeva con le figure già inserire nella macchina così da evitare tribolazioni varie.
Tutto ciò lo scrivo perché nel video credo di essere stato sin troppo magnanimo davanti a una casa produttrice che sta ancora cercando di crescere e si sta impegnando per farlo.
Buone feste!
“La cosa che rende preziosa e significativa la vita umana è la sua brevità… Accade quello che accade e alla fine andiamo via”. |
Torno al mio primo amore (la scrittura) con la recensione del Pinocchio di Guillermo del Toro. Un film che mi ha colpito a tal punto che l’ho già visto due volte, una volta con il nostro doppiaggio e un’altra con quello originale.
Questo Pinocchio ha avuto una storia molto travagliata, prima di approdare su Netflix è stato pensato nel lontano 2008. L’idea di un Pinocchio in stop motion ambientato nella seconda guerra mondiale è ardita, una sfida ardua dato il tema del burattino ormai visto molte volte. In pochi anni abbiamo avuto ben 3 trasposizioni di questa favola, e alla lunga diventa difficile trarre creatività da un personaggio tanto conosciuto. Guillermo del Toro, qui coadiuvato alla regia da Mark Gustafson, ha realizzato quindi uno dei suoi progetti più ambiziosi.
La trama non si discosta totalmente dall’originale ma presenta grosse differenze con la storia che conosciamo: raccontata dal punto di vista del grillo parlante e ambientata durante la seconda guerra mondiale, vede il nostro Geppetto perdere il figlio Carlo per colpa di una bomba. La morte del figlio lo getta nella disperazione più cupa, privo di voglia di vivere affoga i suoi dispiaceri nell’alcool sino a che non decide di costruirsi Pinocchio con il legno nato dalla ghianda lasciata da Carlo. Pinocchio si dimostra subito molto curioso e allergico alle regole, ben lontano dal figlio perso da Geppetto. Ciò spingerà il burattino ad allontanarsi dal padre per unirsi al direttore del circo locale, il Conte Volpe.
Al posto della Fata Turchina qui abbiamo lo Spirito del Bosco, una sorta di entità a metà tra un angelo e un diavolo, mi ha ricordato Il Labirinto del Fauno, altro film ormai cult di del Toro.
Morire per Pinocchio non è un problema, a differenza degli umani può morire quante volte vuole a patto di fare ogni volta quattro chiacchiere con Morte, sorella dello Spirito del Bosco.
I temi trattati sono molteplici e molto interessanti. Aver ambientato la storia durante la seconda guerra mondiale un colpo di genio. Questo film è un invito all’accettazione, al distruggere preconcetti, un elogio alla libertà e alla diversità. La favola originale ha una morale molto più rigida figlia del suo tempo, quasi a dirci: se non seguirai le regole finirai male. Pinocchio non desidera diventare un bambino come tutti gli altri, ama la sua unicità. La pellicola è un inno alla vita e all’amore universale, dove l’accettazione è la parte integrante della storia, accettazione di sé e del prossimo.
Vediamo così adulti costretti a seguire l’ideologia fascista, bambini che si coalizzano capendo per primi quanto sia stupida la guerra.
Segnalo che ci sono varie parti cantante, per quanto sia buono l’adattamento italiano, rendono molto di più in lingua originale. Il doppiaggio nostrano è ben diretto da Massimiliano Alto, appare anche in una piccola parte come voce di Benito Mussolini. Il nostro doppiaggio è ottimo e vede tra gli altri: Mario Cordova, Franca D’Amato, Stefano Benassi. Il doppiaggio originale ha un cast di attori di livello, tra cui: Christoph Waltz, Ewan McGregor, Ron Perlman, David Bradley, Cate Blanchett.
In queste ore sto leggendo molte critiche contro questo film, soprattutto dai cosiddetti “boomer”, come se i bambini di oggi fossero troppo ingenui per poter usufruire di una storia tanto edulcorata e adulta rispetto all’idea originale che tutti hanno di Pinocchio. Voglio ricordare ai detrattori di questo film che Collodi originariamente ha fatto morire Pinocchio impiccato nella storia originale, furono i lettori a spingerlo a continuare la trama come la conosciamo oggi.
La maggior parte delle favole sono crude, noi siamo abituati alle versioni Disney ma storicamente non finiscono sempre bene.
Il Pinocchio di Del Toro è coraggioso, in un mondo imbavagliato dal politicamente corretto ci mostra un Geppetto talmente disperato da rifugiarsi nel bere, ci porta per mano dentro una storia dai contorni amari, con un finale struggente che non fa sconti. Netflix in questi anni è stata accusata spesso di essere troppo buonista, di scegliere attori in base a determinati canoni etnici ecc ecc, bene, questa volta voglio fare un grande plauso ai dirigenti di questa società per aver creduto nel progetto di questo Pinocchio. Un film che sono convinto si ricorderà negli anni a venire e che segna per forza di cose un prima e un dopo.
Chi mi conosce sa del mio amore per la creatura principe di Carlo Rambaldi: E.T.
Mi legano a questo buffo alieno tanti ricordi, ma uno dei più cari della mia vita è aver visto il film di Spielberg con i miei genitori, ricordo poco, solo la sala piena e il fatto che tutti noi bambini degli anni 80 volevamo un E.T. Ho notato con sgomento che molti giovani trovano E.T. repellente, e mi dispiace molto, non hanno colto nulla di ciò che vuole dirci il film, una pellicola ancora oggi attuale e che, nella sua apparente semplicità, parla di diversità, amore, accettazione.
Cineteca Milano Mic, dopo la bellissima mostra su King Kong, ha deciso di omaggiare E.T. per i suoi 40 anni con una splendida esposizione che ci permette di poter toccare con mano alcuni reperti che hanno fatto la storia del cinema mondiale. Grazie alla collaborazione con la Fondazione Carlo Rambaldi e il restauro effettuato dallo staff di Leonardo Cruciano, possiamo ammirare per la prima volta pezzi unici e iconici.
Sono stato alla mostra il 6 novembre, giorno della sua inaugurazione, ho potuto così incontrare la famiglia Rambaldi, seguire il tour di Victor Rambaldi, intervistare ancora Daniela Rambaldi.
Ho condensato tutto in un video che spero davvero possa incontrare il vostro gusto, è uno dei lavori su cui ho cercato di mettere tutto ciò che ho appreso in questi anni di video editing.
Ho consegnato anche un disegno dell’amico Emanuele Leone alla famiglia per omaggiare Carlo Rambaldi, purtroppo di questa cosa non ho nessun video ma una bella foto a testimonianza dell’evento:
Victor Rambaldi con il nostro quadro |
Segnalo in particolare la bellissima replica di E.T. in scala 1:1 tratta dai calchi originali, vederla davanti agli occhi vale da sola il prezzo del biglietto. Certo, a patto che amiate la creatura di Rambaldi.
Cosa rappresenta per te Devilman?
Devilman per me è l’inizio di tutto. Negli anni ’90, il mio approccio con l’animazione giapponese inedita, cioè che si trovava solo in giapponese, fu proprio con Grey Digital Target, il film di Hokuto no Ken, Akira che fu il primo film che vidi (avevo addirittura una copia in bianco e nero) e Devilman. Mi ricordo perfettamente che quando lo vidi mi scattò immediatamente il desiderio fortissimo di poterlo vedere in italiano. Quindi appena uscì, se non sbaglio fu proprio la prima videocassetta Granata Press che presi immediatamente, il primissimo film in italiano fu Baoh che uscì per Yamato Video, e poco dopo Devilman che mi piacque tantissimo. Devilman per me rappresenta proprio il primo impatto con l’animazione giapponese seria, quella vera, quella non più per bambini. Fu un trampolino di lancio per me, quei film: Maison Ikkoku Last Movie, Ken il Guerriero (Il film) in giapponese, Grey Digital Target - meraviglioso potessimo farlo in italiano adesso, magari - e appunto Devilman. In quegli anni sembrava impossibile poter avere certe opere in italiano, e invece…
Puoi spiegarci come mai si è reso necessario ridoppiare questi OAV e perché non siete riusciti a inserire anche il vecchio doppiaggio in questa edizione?
La decisione di doppiare gli OAV parte sicuramente da una questione legata ai diritti, ma soprattutto, per quello che mi è dato sapere è legata al fatto che il vecchio doppiaggio, che ho amato tantissimo, aveva però delle lacune sotto il profilo della traduzione, incongruenza che poi ho riscontrato lavorando su queste opere. Basta fare un piccolo confronto tra vari elementi. Probabilmente all’epoca si è tradotto partendo dall’inglese, non ne ho sicurezza, anche se ho iniziato a lavorare in Granata Press solo con Shuten Doji, pochi lo ricorderanno ma inizialmente è stato doppiato usando Stefano Onofri poi è stato ridoppiato tutto con Giorgio Borghetti come protagonista e Roberta Greganti. Quindi il motivo principale del ridoppiaggio di Devilman è stato solo una questione di traduzione e adattamento.
Parliamo di adattamento, cosa è stato cambiato rispetto alla vecchia versione?
Ci sono tantissimi cambiamenti, uno fondamentale, che mi ha colpito molto è il discorso che fa Jinmen a Devilman, quando gli dice: “io non sono un assassino, io mi nutro.
Perché se tu ti nutri non sei un assassino e se lo faccio io invece divento un mostro?”
Mi ha molto colpito tutto quel passaggio. Poi ci sono cambiamenti sciocchi, per esempio nel vecchio doppiaggio, ripeto forse la traduzione è stata fatta dall’inglese, abbiamo i personaggi che stanno uscendo da scuola, stanno andando a casa, nel vecchio doppiaggio l’amica dice a Miki: “presto dobbiamo andare a lezione”. Non vanno a nessuna lezione.
Non si capisce come fanno a trovare Akira nella parte iniziale con i conigli, in realtà è l’amica che dice a Miki che lo hanno visto lì. Oppure quando sono nella stanza medica con sempre Miki faccia a faccia con Akira, lui non la bacia, e lei gli dice che è uno stupido. Nel vecchio doppiaggio diceva altro che non c’entrava nulla. Ci sono tutta una serie di queste inesattezze, tra cui alcune più marginali e altre più interessanti come il discorso di Jinmen.
Cosa ti ha spinto a scegliere Massimo Triggiani per il ruolo di Akira e Maurizio Merluzzo per Ryo Asuka?
Il principio è questo: negli ultimi 10 anni ho lavorato soprattutto a film, faccio prettamente quelli. Il fatto di lavorare al doppiaggio di film, spesso molto particolari, mi ha portato a maturare un gusto totalmente diverso rispetto a quello che avevo un tempo. Oggi se riavessi tra le mani titoli come Cowboy Bebop (anche se è venuto bene) userei un approccio totalmente diverso come del resto ho fatto recentemente con Getter Robot. Sono cambiato nettamente. Per cui la scelta è caduta su Maurizio e su Massimo perché sono persone che frequento, ogni tanto, fuori dal lavoro e hanno un rapporto tra loro che si può dire, spero di non venire travisato, simile al rapporto che hanno Ryo e Akira, se loro rappresentano quei personaggi io sono Zenon (risata). Scherzo. Comunque ho visto delle similitudini rispetto ai personaggi che andavano a interpretare. Soprattutto nel caso di Triggiani, ero sicuro che avrebbe reso bene il cambio tra l’Akira liceale e “uomo”, perché Massimo ha questa caratteristica nella voce, riesce a essere sia ragazzo che adulto. Con Maurizio il problema non si presentava perché Ryo rimane bene o male lo stesso nel corso della storia. Per cui diciamo che mi sono basato sul loro carattere. Spesso scelgo gli attori a seconda di come sono nella vita, a volte mi baso anche sulla loro fisicità, ma spesso sul carattere e sulla vocalità dell’originale e se richiede una caratteristica specifica. Il punto di partenza è che facendo tantissimi film il mio approccio nei confronti degli anime resta quello del film, d’altro canto nei cartoni l’attore dà l’anima al personaggio cosa che invece con attori in carne e ossa ha un effetto diverso.
Ho notato che hai mantenuto le pronunce dei nomi alla Giapponese e che hai usato, in varie occasioni, un linguaggio molto brutale. Ci puoi motivare queste scelte?
Per quanto riguarda le pronunce ho mantenuto quella originale perché mi sembrava giusto farlo, mi sembra l’ora di usare le giuste pronunce dei nomi.
Per quanto riguarda il linguaggio, se posso essere brutale anche nella risposta, è che mi sono rotto il caxxo di linguaggi finti edulcorati nei cartoni animati, così come in alcuni film e Devilman è una storia per adulti, ci sono scene molto forti quindi secondo me va aiutato con un linguaggio reale. Non mi sono minimamente posto il problema di usare certi termini perché sono giusti e accompagnano la storia con un’impronta adulta. Mi sono stancato di termini come “dannato, maledizione”, nessuno parla così nella vita, certi termini lasciamoli ai telefilm americani. Gi OAV di Devilman sono tratti dall’opera di Go Nagai un manga che nasce con un intento preciso e maturo e io volevo raggiungere questa maturità anche tramite il linguaggio assolutamente “reale”, questo è stato il meccanismo.
Dal primo al secondo capitolo si nota un deciso cambio di marcia, avete avuto modo di sbizzarrirvi di più, Triggiani riesce nel difficile compito di non far rimpiangere Ivo De Palma. A questo proposito voglio farvi un plauso per il lavoro che avete svolto e per gli attori che hai scelto. C’è una parte di cui vai particolarmente fiero?
Ivo De Palma 30 anni fa fece un lavoro egregio con gli strumenti che aveva, detto questo c’è un netto cambio perché c’è negli OAV, sia emotivamente, che visivamente molto più potente. La parte di cui vado più fiero è lo scontro tra Jinmen e Akira. Mentre facevamo Jinmen, interpretato da Massimo Lodolo, che per me è il fuoriclasse in assoluto e uno dei migliori attori che abbiamo in Italia, ha saputo ascoltare bene l’interpretazione dell’originale creando una variante italiana assolutamente unica. Identica al giapponese. Invito tutti ad ascoltare l’originale giapponese e l’interpretazione di Lodolo sui ghigni, sui guizzi, sulle intonazioni, sulla forza, sull’ironia. Massimo è veramente unico. Un aneddoto divertente: durante ii doppiaggio dopo la chiusura di ogni scena io ero emozionato, quasi esaltato, però Massimo simpaticamente faceva l’offeso dicendo che l’avevo messo su uno che veniva ammazzato dopo neanche 10 minuti di storia; ridendo diceva questa cosa: “mi hai messo su una tartaruga che perde contro un ragazzino”. Quindi ogni volta che dicevo: “Massimo, non puoi capire ho la pelle d’oca sei stato bravissimo”, lui anziché darmi soddisfazione mi diceva: “andiamo avanti”. Su questa cosa ci rido ancora oggi, ogni volta che lo vedo. Sono anche contento della resa sonora, perché la colonna sonora nostra ora è molto più potente anche di quella originale giapponese del 1987 e 1990.
C’è qualcosa che dovremmo sapere su questa edizione degli OAV di Devilman?
L’audio è potenziato pure essendo esattamente lo stesso dell’originale giapponese, se lo ascoltate con un buon impianto è nettamente migliorato, anche perché io stesso seguo sempre anche il mix, ho io stesso esaltato alcune scene, in più c’è il libretto che contiene qualsiasi cosa vi venga in mente sui personaggi, sulla costruzione degli OAV e quant’altro. Per cui i collezionisti come me non possono non avere questa edizione, nemmeno nell’edizione giapponese sono presenti quelle illustrazioni, già solo questo vale l’acquisto. L’home video sta morendo, la gente continua a vedere le cose in streaming (che va benissimo), spero tanto che ci sia sempre questo zoccolo duro di collezionisti che preferiscono avere l’oggetto come me, e di vedere la roba non compressa; oddio il blu-ray è compresso lo stesso però non come lo streaming in più stai parlando con uno che colleziona ancora vinili.
C’è un’opera che vorresti doppiare o ridoppiare? Un tuo sogno nel cassetto?
Servirebbero 4 giorni per dirti tutto ciò che vorrei doppiare, ci sono molte serie vecchie a cui vorrei lavorare: Otokojuku (Classe di Ferro), Panzer World Galient, Grey Digital Target il film, Zillion, il film di Street Fighter 2 mettendo la colonna sonora giapponese, Tenkū senki Shurato, vorrei finire Golion, la parte finale di Laserion, e poi vabbè, ovviamente Hokuto No ken.
Monica Belllucci e Giorgio Bassanelli Bisbal in sala di doppiaggio |
Negli ultimi anni le polemiche contro il doppiaggio italiano si fanno sempre più persistenti, cosa ne pensi e come vivi tali critiche?
Penso che le critiche al doppiaggio abbiano ragione di essere perché stiamo vivendo un’era con troppa improvvisazione, gente che fino all’altro ieri faceva tutt’altra cosa, senza esperienza, che si autoproclama esperto o si mette a scrivere dialoghi a dirigere, c’è molta improvvisazione e questo poi si riflette sulle lavorazioni, sui doppiaggi. Io ho fatto una gavetta lunghissima in seno a società storiche del doppiaggio, sono stato tantissimi anni in CDC, ho ascoltato, vissuto, visto tanti professionisti che hanno fatto la storia del cinema in Italia, parlando di doppiaggio naturalmente. Quindi ho avuto modo di “assorbire” da queste persone e farne qualcosa per me. Oggi invece vedo individui che dal nulla prendono decisioni perché hanno l’amico, qualcuno che glielo permette. Ecco, questo per me fa male al mio mestiere per cui se ci sono delle cose fatte veramente male rispetto l’originale posso capire che la gente si possa arrabbiare o che possa vomitare veleno contro il doppiaggio. C’è da dire però che, questo nessuno può contraddirlo, anche nel doppiaggio esiste la borsa di Armani e la borsa fatta di plastica. Questo è un mestiere che un tempo aveva un sapore artigianale, oggi sta avendo sempre più, per colpa di alcune dinamiche, il sapore di una catena di montaggio.
Domanda di rito: a cosa stai lavorando?
Sto lavorando a un film americano di cui non posso dire niente, e poi altri due film che sono una coproduzione italo americana addirittura di Natale, sì avete capito bene, a settembre sto lavorando a dei film di Natale. Spero a breve di lavorare a un film che interessa a tanti della mia generazione e soprattutto interessa ai molti fan dell’animazione giapponese. Lo sto aspettando con le palpitazioni anche perché sono molti anni che lotto per avere questo film finalmente al cinema e con una edizione italiana degna di quel nome.
C’è qualche titolo recente, sempre parlando di anime, che ha lasciato un segno su di te lavorandoci?
Due titoli: Lupin e Dragonball. Ho avuto modo negli ultimi anni di lavorare su tutti gli speciali di Lupin e sulla terza serie, nonché allo sfortunato film in computer grafica uscito con l’esplosione della pandemia, mi sono molto divertito nel farlo, oltre al fatto che ero contento di realizzarlo. Lupin lo conosco bene, ho lavorato a suo tempo anche con Roberto Del Giudice, quindi diciamo che è più o meno un personaggio che mi accompagna nel tempo. Poi, non me lo aspettavo onestamente: Dragonball. Ho fatto questo film che uscirà il 29 settembre, certo mi sono trovato un cast già fatto però con tutti attori che devo dire non solo si sono dimostrati all’altezza ma la cosa più bella è che sono stati molto collaborativi, credo si siano trovati molto bene con me e io mi sono trovato bene con loro. Sono molto fiero del risultato finale; anche in questo caso ho seguito tutto il mixer. Certo ero vincolato da scelte non mie in certi casi, però con questi strumenti secondo me è soddisfacente. Ci sono nuovi personaggi con cui ho cercato di riprendere il giapponese, soprattutto nelle scene di combattimento, perché non si dica che l’audio giapponese è più potente del nostro, Anche gli italiani possono trovare entusiasmo nel fare gli anime, bisogna sempre trovare la parola magica per innescare entusiasmo in chi sta facendo qualcosa che di solito non è abituato a fare. Il problema principale degli attori che si approcciano agli anime è che non sono abituati a farli oppure se li fanno chi sta dietro non dà loro un vero motivo per metterci un certo impegno. Per esempio: Franco Zucca, straordinario attore purtroppo scomparso qualche mese fa, non aveva mai fatto cartoni giapponesi e li odiava, anche se qualche anime lo ha fatto, in Lupin The First l’ho messo su uno dei personaggi più importanti e ho trovato uno spunto per fargli vedere l’opera con un occhio diverso, visto che per lui gli anime erano tutti uguali e privi di fantasia. Alla fine si è divertito e noi spettatori abbiamo avuto la chicca di avere Franco Zucca in un film di animazione giapponese. Per cui bisogna sempre trovare il modo di dare la spinta quando qualcuno non si entusiasma per un progetto, certo non è sempre possibile, mi capita ogni tanto di farlo perché capisco che dall’altra parte non sempre si apprezza ciò che si fa, l’ho fatto a suo tempo anche con Elio Pandolfi nei film di Berserk, che al di fuori di Sherlock Holmes di cartoni davvero ne aveva fatti zero, e su Berserk abbiamo Pandolfi in una delle sue ultime interpretazioni (anche lui scomparso da poco). Spero che il pubblico apprezzerà i miei ultimi lavori.
Un ringraziamento speciale a Giorgio Bassanelli Bisbal e allo staff di Yamato Video.
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In calce trovate la mia video recensione di questo fantastico libro:👇🏻
Come ho già accennato in un altro post, ho iniziato a pubblicare articoli sul neonato magazine di Emacomics, una scuola del fumetto Abbiatense diretta dal disegnatore Emanuele Leone.
Per presentare il magazine abbiamo confezionato questo video che vi allego.
Spero possa piacervi e interessarvi. Buona visione!
Il bellissimo Silver Surfer nato per me a Casale |
Claudio Castellini e la sua arte |
Quando si parla di un gigante del fumetto come Jack Kirby si sente sempre una sorta di soggezione, la sua arte, la sua eredità culturale sono talmente grandi da lasciare attoniti, non solo per l’enorme galleria di personaggi da lui inventata, ma per il segno indelebile che ha lasciato nella storia e nell’enorme influenza che ha avuto su tutti gli autori che gli sono succeduti.
Rizzoli Lizard ha recentemente stampato il libro di Tom Scioli “Jack Kirby — La vera vita del Re dei Comics”; una biografia a fumetti sorprendentemente accurata e ben raccontata.
L’autore ci tiene a precisare sin da subito che questa è una biografia di Jack non un’autobiografia. La storia viene raccontata in prima persona dallo stesso “Kirby” attingendo da varie fonti tra cui le interviste che ha rilasciato nel corso della sua vita. Non pretende di narrare verità assolute ma semplicemente la visione di un uomo che racconta la propria vita. Le fonti sono sempre specificate alla fine del libro sotto forma di note.
Usare la prima persona per narrare la storia l’ho trovata una scelta coraggiosa e ben pensata.
Jack Kirby è famoso per aver contribuito ad aver dato vita alla maggior parte degli eroi Marvel, tra cui: Capitan America, Thor, Fantastici 4, X-Men, Hulk, Iron-Man.
Nel libro si mette in dubbio più volte il ruolo di Stan Lee nella creazione della Marvel e dei suoi personaggi.
Elevato a icona moderna è difficile mettere in discussione il mito di Stan Lee, ma per chi conosce il mondo del fumetto americano certe conclusioni a cui si arriva dopo aver letto il libro non paiono poi così assurde. Stan aveva una metodologia di lavoro peculiare: era solito fornire al disegnatore storie abbozzate, raccontate a grandi linee, spettava al disegnatore di turno riempire poi 20 pagine di fumetto. Lee arrivava a lavoro finito a riempire i “balloons”. Su questa questione la disputa è aperta ormai da tantissimo tempo.
Famose le diatribe tra Kirby e Stan sulla paternità dei loro personaggi, c’è da dire che tali diatribe non sono certo state un caso isolato a Kirby, quasi tutti gli autori che hanno lavorato con Lee si sono scontrati con la sua metodologia di lavoro e con la sua personalità ingombrante.
La vita di Jack Kirby è stata segnata da alcune delle pagine più brutali del Novecento: adolescente durante la Grande Depressione si è trovato poi al fonte durante la Seconda Guerra Mondiale. Un uomo che ha dedicato la sua vita al tavolo da disegno, alla creazione di personaggi leggendari, che ha tentato continuamente nuove strade, un pioniere che ha lottato duramente per l’affermazione dei suoi diritti perché gli venissero riconosciuti i giusti meriti.
Tom Scioli non fa nulla per nascondere, narra i fatti con rara delicatezza anche nei momenti più duri; racconta del Kirby soldato, degli orrori della guerra, dei campi di concentramento, non si risparmia in dettagli cruenti facendoci entrare così in piena empatia con il protagonista. Il fatto poi che sia tutto narrato in prima persona è un espediente narrativo che permette un maggior coinvolgimento emotivo al lettore.
Lo stile grafico: Scioli usa un stile semplice, a tratti caricaturale e grottesco per raccontarci la vita di Jack Kirby; l’ho trovato perfetto per questa opera, scarno e dal sapore vintage si adatta perfettamente per raccontarci la vita di uno dei fumettisti più influenti di sempre.
L’unica nota stonata forse sta nella struttura delle note, spesso mi sono trovato a interrompere la lettura per andare alla fine del libro a cercare la fonti degli avvenimenti, ciò spezza un po’ la lettura.
L’edizione si presenta di piccolo formato, ma le 191 pagine non paiono soffrire la scelta editoriale che ben si sposa con l’aspetto invecchiato che si è voluto dare al libro con pagine ingiallite fintamente muffose, inoltre la grammatura della carta è molto buona così come il suo odore (sì, adoro annusare i libri).
In definitiva un must per tutti gli amanti del fumetto, da leggere e rileggere.
Super consigliato.
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Questo articolo è uscito originariamente sul nuovo Magazine di Emacomics: E-Magazine.
Potete scarcarne il pdf: Qui
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