“La cosa che rende preziosa e significativa la vita umana è la sua brevità… Accade quello che accade e alla fine andiamo via”. |
Torno al mio primo amore (la scrittura) con la recensione del Pinocchio di Guillermo del Toro. Un film che mi ha colpito a tal punto che l’ho già visto due volte, una volta con il nostro doppiaggio e un’altra con quello originale.
Questo Pinocchio ha avuto una storia molto travagliata, prima di approdare su Netflix è stato pensato nel lontano 2008. L’idea di un Pinocchio in stop motion ambientato nella seconda guerra mondiale è ardita, una sfida ardua dato il tema del burattino ormai visto molte volte. In pochi anni abbiamo avuto ben 3 trasposizioni di questa favola, e alla lunga diventa difficile trarre creatività da un personaggio tanto conosciuto. Guillermo del Toro, qui coadiuvato alla regia da Mark Gustafson, ha realizzato quindi uno dei suoi progetti più ambiziosi.
La trama non si discosta totalmente dall’originale ma presenta grosse differenze con la storia che conosciamo: raccontata dal punto di vista del grillo parlante e ambientata durante la seconda guerra mondiale, vede il nostro Geppetto perdere il figlio Carlo per colpa di una bomba. La morte del figlio lo getta nella disperazione più cupa, privo di voglia di vivere affoga i suoi dispiaceri nell’alcool sino a che non decide di costruirsi Pinocchio con il legno nato dalla ghianda lasciata da Carlo. Pinocchio si dimostra subito molto curioso e allergico alle regole, ben lontano dal figlio perso da Geppetto. Ciò spingerà il burattino ad allontanarsi dal padre per unirsi al direttore del circo locale, il Conte Volpe.
Al posto della Fata Turchina qui abbiamo lo Spirito del Bosco, una sorta di entità a metà tra un angelo e un diavolo, mi ha ricordato Il Labirinto del Fauno, altro film ormai cult di del Toro.
Morire per Pinocchio non è un problema, a differenza degli umani può morire quante volte vuole a patto di fare ogni volta quattro chiacchiere con Morte, sorella dello Spirito del Bosco.
I temi trattati sono molteplici e molto interessanti. Aver ambientato la storia durante la seconda guerra mondiale un colpo di genio. Questo film è un invito all’accettazione, al distruggere preconcetti, un elogio alla libertà e alla diversità. La favola originale ha una morale molto più rigida figlia del suo tempo, quasi a dirci: se non seguirai le regole finirai male. Pinocchio non desidera diventare un bambino come tutti gli altri, ama la sua unicità. La pellicola è un inno alla vita e all’amore universale, dove l’accettazione è la parte integrante della storia, accettazione di sé e del prossimo.
Vediamo così adulti costretti a seguire l’ideologia fascista, bambini che si coalizzano capendo per primi quanto sia stupida la guerra.
Lo stop motion è usato in modo superbo, i pupazzi sono splendidi, alcuni di loro mi hanno ricordato sculture di legno, basta vedere la barba di Geppetto. Adoro lo sculpt di Pinocchio, una sorta di Frankenstein non finito, con chiodi a vista e aspetto poco rassicurante.
Segnalo che ci sono varie parti cantante, per quanto sia buono l’adattamento italiano, rendono molto di più in lingua originale. Il doppiaggio nostrano è ben diretto da Massimiliano Alto, appare anche in una piccola parte come voce di Benito Mussolini. Il nostro doppiaggio è ottimo e vede tra gli altri: Mario Cordova, Franca D’Amato, Stefano Benassi. Il doppiaggio originale ha un cast di attori di livello, tra cui: Christoph Waltz, Ewan McGregor, Ron Perlman, David Bradley, Cate Blanchett.
In queste ore sto leggendo molte critiche contro questo film, soprattutto dai cosiddetti “boomer”, come se i bambini di oggi fossero troppo ingenui per poter usufruire di una storia tanto edulcorata e adulta rispetto all’idea originale che tutti hanno di Pinocchio. Voglio ricordare ai detrattori di questo film che Collodi originariamente ha fatto morire Pinocchio impiccato nella storia originale, furono i lettori a spingerlo a continuare la trama come la conosciamo oggi.
La maggior parte delle favole sono crude, noi siamo abituati alle versioni Disney ma storicamente non finiscono sempre bene.
Il Pinocchio di Del Toro è coraggioso, in un mondo imbavagliato dal politicamente corretto ci mostra un Geppetto talmente disperato da rifugiarsi nel bere, ci porta per mano dentro una storia dai contorni amari, con un finale struggente che non fa sconti. Netflix in questi anni è stata accusata spesso di essere troppo buonista, di scegliere attori in base a determinati canoni etnici ecc ecc, bene, questa volta voglio fare un grande plauso ai dirigenti di questa società per aver creduto nel progetto di questo Pinocchio. Un film che sono convinto si ricorderà negli anni a venire e che segna per forza di cose un prima e un dopo.
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